mercoledì 16 giugno 2010

Do you have a Kennitala?

In Islanda esiste una cosa chiamata Kennitala. Che cos'è è facile da capire: un id che identifica la tua persona in modo univoco per le autorità islandesi. Su cosa serv ci sono varie interpretazioni, ma alla fine ho capito che quella più completa è: a tutto! Fa da codice fiscale, lo trovi scritto sul libretto della macchina, ti serve per aprire un conto corrente bancario, per avere un lavoro e, ho scoperto giusto la settimana scorsa, per poter frequentare un corso di islandese. Al che ho maledetto il governo islandese che per farmi andare a lezione mi ha già sbattuto in tre uffici diversi. Sì, perchè avere un kennitala senza avere un lavoro non è semplicissimo. Hai diritto al kennitala se:
a) sei nato in Islanda
b) se lavori in Islanda
c) se hai sposato un residente in Islanda
d) se hai una qualsiasi buona ragione INDIVIDUALE per stare in Islanda (scritto testualmente sul modulo di richiesta: "individual with private means"). L'importante è che dimostri di poterti mantenere (lunedì saprò se basta un saldo di conto corrente italiano o pretendono altro...per il momento non sono ancora riuscito ad avere questo benedetto documento pur essendo già passato all'eures, al registro nazionale e al consolato...).
Come dicevo ho maledetto il governo per tanta burocrazia, quasi fossimo in un'appendice dell'Italia. In fondo devo solo fare un corso di sei settimane, perchè mi serve essere registrato all'anagrafe islandese? Stamattina ho avuto la risposta: perchè il corso che sto facendo di 60 ore al costo, a mio avviso, irrisorio di 24.000 corone (al cambio attuale circa 180 euro, al cambio di sei mesi sarebbe stato meno di 150) lo paga in parte il governo. In pratica questi corsi per stranieri sono finanziati con soldi pubblici in virtù di un principio di integrazione. In cambio ti viene solo chiesto di far sapere loro chi sei e perchè sei qui. Ed è abbastanza bizzarro che questo avvenga in un paese dove, tutto sommato, si riesce a lavorare e a sopravvivere dignitosamente con il semplice inglese. Che dire? Ho ringraziato fra me il governo e sono tornato a casa a stampare il mio ultimo estratto conto. La settimana prossima spero di riuscire ad avere questo benedetto kennitala e avrò così un altro motivo per continuare ad amare questo splendido paese.

mercoledì 9 giugno 2010

Fuori c'e' la crisi....

Prendi un islandese qualsiasi. Parla con lui del più e del meno per qualche minuto. Fagli capire che hai interesse per l'argomento Islanda e cronometra dopo quanti secondi usciranno le due parole più inflazionate dell'intera isola: BANK COLLAPSE. E' comprensibile: tutte le statistiche dicono che il bank collapse ha cambiato radicalmente faccia al paese. Quell'invitante 0,3 di disoccupati che c'era quando Janis ha preso il primo volo per Reykjavik è aumentato di oltre il 2000%. Nel 2009 il saldo fra immigrati in ingresso ed immigrati in uscita è in passivo. Ergo, tanta gente, soprattuto polacchi, stanno tornando a casa. La corona si è leggermente ripresa, ma più per demerito dell'euro che altro. Ed è comunque ancora svalutata del 30% rispetto al giorno prima del famigerato bank collpase. Eppure ieri ero a Reykjavik e tutto questo, almeno per le vie del centro non lo respiri. In tutta laugavegur (l'equivalente dei portici broletto di Mantova, per intenderci) ho visto solo tre negozi vuoti, con l'insegna affittasi o vendesi. Il nostro baretto preferito ha chiuso, ma il suo posto è già stato preso a tempo di record da un anonimo negozio di abbigliamento firmato norvegese, probabilmente parecchio costoso. Sembra che tutti resistano: dal costoso ristorante italiano al venditore di bigiotteria, dalla galleria d'arte al negozio di cd. Anche al Kringla (l'Ipercoop di Reykjavik) negozi vuoti non ce ne sono. Eppure fuori c'e' la crisi...La prima considerazione che viene è che forse è solo l'ennesima dimostrazione che nei paesi abituati a un alto tenore di vita la crisi economica ha sempre un impatto a lungo termine. L'alto risparmio accumulato negli anni permette di vivere ancora da leone per un po' e di scambiare per povertà il solo fatto di dover qualche volta contare il denaro prima di spenderlo. E poi mi sono chiesto: ma se ci fosse stata ancora la lira in Italia e ci fosse capitato a noi il bank collapse, chi sarebbe stato colpito? Probabilmente le persone "normali" che tengono i soldi in banca, o nei titoli di stato e comunque sul mercato italiano. Non certo chi non dorme la notte pensando se aderire o no allo scudo di fiscale del simpatico Tremonti. Anzi, quelli con un bello scudo fiscale potevano fare soldi a palate sull'oscillazione del cambio. Ora, se gli italiani appena possono portano i soldi in Svizzera, Lussemburgo, Liechtenstein, Isole Vergini, Cayman, etc, etc...non è che lo stesso facevano gli islandesi? Non è che qualcuno ha perso soldi e lavoro e qualcun'altro si è leccato i baffi? Quando un giorno parlerò decentemente islandese e troverò qualcuno di fidato, proverò a porre con i dovuti modi questa domanda....

domenica 6 giugno 2010

slow change....

Esistono luoghi che cambiano meno di altri. O che, almeno in parte, non cambiano affatto. Oggi sono passato davanti allo stanzino vicino alla stalla e la porta è ancora da sistemare. Kiddy mette ancora la stessa camicia per andare a Reykjavik. E nel giradischi c'è ancora il disco di Bob Dylan che io e Janis abbiamo ascoltato l'ultima sera passata insieme qui, lo scorso settembre. Se non fosse per Zorro, il vitello ormai diventato toro, e per il cambio fra il tedesco Armin e il moldavo Jon come quinto commensale della tavola nove mesi sarebbero davvero passati invano.
Oggi ho aiutato Dora a piantare broccoli e insalata in giardino. Mi ha fatto qualche domanda su questi ultimi nove mesi. Abbiamo parlato della casa che io e Janis vorremmo prendere in affitto, ma che difficilmente andrà in porto. Non mi ha chiesto quanto resterò alla fattoria. Da queste parti sono abituati a vedere le cose cambiare lentamente e non hanno mai fretta. Loro. Noi cerchiamo e speriamo di imparare.